
Dai nuovi Hololens al superamento di Fantozzi.
I nuovi visori per la mixed reality di Microsoft potrebbero portare diversi cambi di prospettiva. Uno di questi: gli spazi e le dinamiche di lavoro.
Hololens, da poco nella loro seconda generazione, sono il giocattolino di Microsoft per la mixed reality. Il nome rimanda infatti al concetto di ologramma, e a scenari fantascientifici nei quali i contenuti escono da pc e telefoni per sparpagliarsi nell’etere.
Il che non è effettivamente lontano dalla realtà.
Con tutti i limiti del caso, i visori di Microsoft sono oggi il riferimento nel mercato enterprise per un tipo di realtà aumentata molto orientata alla produttività e ai processi, là dove il diretto concorrente Magic Leap punta all’intrattenimento e alla creatività.
Questione di marketing, dal momento che il principio alla base dei due sistemi è lo stesso: creare interfacce e contenuti digitali mixati a oggetti o luoghi, e con i quali interagire tramite gesture.
Tra i diversi utilizzi, uno che mi sembra particolarmente interessante per molti settori è quello di Spatial.
Si tratta di una piattaforma di collaborazione multiutente in realtà aumentata che va in pratica a creare uno spazio digitale di lavoro popolato da oggetti persistenti (vedi quest’altro mio post per approfondimenti).
Ideale per gruppi di lavoro dislocati in varie parti del mondo (ad esempio lo sviluppatore a Singapore, il designer a New York e il PM a Livorno), rende possibile visualizzare gli stessi elementi di lavoro in forma olografica/3D, ciascuno nella propria stanza o ufficio.
Testimonial di questa funzionalità è stata l’azienda Mattel che, a quanto pare, ha i propri ingegneri, designer e marketers sparsi per il mondo.
Il CTO Sven Gerjets ha infatti dichiarato che stanno usando Spatial sia per ridurre i viaggi (risparmio di tempo/soldi), sia per integrare strumenti di condivisione e collaborazione in uno spazio le cui regole di interazione sono più naturali e intuitive (produttività, device thinking).
Viene da chiedersi se in un contesto nel quale le dinamiche aziendali evolvono così velocemente, con team sempre più spesso decentralizzati e un core tecnologico-digitale sempre più presente, non si possa assistere alla destrutturazione del concetto di “ufficio” per come lo conosciamo adesso.
Non mi stupirei se da qui a 10 anni uscissimo completamente dalla logica del cartellino e della scrivania – quella ancora oggi troppo spesso legata a un modello fantozziano di luogo di lavoro come luogo del contenimento, della spersonalizzazione e del controllo – e iniziassimo invece a lavorare ciascuno dal proprio spazio ideale.
Attenzione, non sto parlando di tutto il filone dei nomadi digitali che fanno business solo con un Mac, passando dalla barca a vela alla spiaggia fino al grattacielo di Dubai o alle vette innevate. Loro sono già a posto.
Parlo di trovare nuovi spazi urbani ed extraurbani in un mix di comfort, accessibilità, life-work balance e ispirazione; parlo di abitare una dimensione lavorativa che incontri il più possibile necessità soggettive (famiglia, bambini, provincia o periferia) ma allo stesso tempo aiuti a trovare e mantenere la concentrazione, restare nel “flow” e migliorare performance e produttività riducendo magari le ore di lavoro e gli spostamenti.
Alcune categorie potrebbero rimanere indifferenti a questa innovazione, mentre per altre potremmo parlare di una vera e propria disruption.