
Le tecnologie immersive possono sopperire a una determinata abilità, oltre a crearne di nuove. Vediamo come.
Il settore medico, nel suo complesso, rappresenta oggi il secondo driver di mercato (dopo il gaming) per l’immersività.
Sul web incontriamo sempre più di frequente video dimostrativi (spesso ricostruiti e non “live”) che mostrano i futuri prodigi della realtà aumentata applicata allo studio e alla cura del copro umano: anatomia olografica, interventi chirurgici in remoto, proiezioni 3D che sostituiscono i cadaveri nei laboratori universitari.
Ma c’è un comparto più nascosto che sta già lavorando per risolvere problemi complessi e molto concreti: quello dedicato alle disabilità.
Là dove ci si trovi di fronte a invalidità fisiche o cognitive di varia natura, la realtà aumentata e la realtà virtuale possono già intervenire efficacemente affiancando e facilitando il lavoro di operatori qualificati come neuro-psichiatri o specialisti in riabilitazione.
Ma come si possono approcciare le diverse abilità con questo tipo di tecnologie?
Suggerisco di seguito almeno 4 modalità:
1. Ponendo il soggetto in luoghi o scenari altrimenti complessi o impossibili da ricreare
2. Correggendo digitalmente la percezione o i sensi del soggetto
3. Sopperendo ad eventuali carenze funzionali con tipologie di interazione alternative
4. Creando empatia, informando e sensibilizzando su larga scala
Vediamo di chiarire ciascuna possibilità con un caso di studio.
1) ponendo il soggetto all’interno di un particolare scenario altrimenti complesso o costoso da ricreare.
L’app Floreo, ad esempio, approccia l’autismo proponendo una serie di scenari in realtà virtuale capaci di stimolare la persona. Luoghi altrimenti irraggiungibili o inesistenti possono essere utilizzati dal terapeuta (che supervisiona e interagisce con la parte digitale) per indurre il paziente ad attivarsi rispetto a determinati stimoli visivi e uditivi. L’app rilascia anche una serie di dati e analytics.
Difficile stabilire se l’app produca dei risultati misurabili, e probabilmente la complessità del problema a cui si riferisce non renderà facile la valutazione degli effetti, ma la logica che sottende è estremamente interessante, tanto da vantare partner autorevoli in ambito associazionistico e medico-scientifico.
2) Correggendo digitalmente la percezione o i sensi del soggetto
L’app Samsung Relumino, da utilizzare insieme a un cardboard in modalità VR, interviene a correggere una serie di difetti visivi (non gravi). Una volta che l’utente ha selezionato il suo problema tra una serie di preset, l’app gestisce il segnale di input, correggendolo. La fotocamera del telefono diventa quindi un filtro: una sorta di “occhio bionico” per dirla in termini fantascientifici.
Ma d’altronde è ciò di cui stiamo parlando.
3) Sopperendo ad eventuali carenze funzionali con tipologie di interazione alternative
La piattaforma Eyeflight permette di svolgere molte attività di interazione uomo-macchina a chi non può utilizzare gli arti, in realtà virtuale.
Tramite un sistema di puntamento oculare, gli utenti possono navigare sul web, giocare, svolgere esercizi e attività ricreative, utilizzando un sistema di interfacce comandabile appunto con lo sguardo.
4) creando empatia, informando e sensibilizzando su larga scala
Il Gruppo Korian ha presentato recentemente il progetto Korian Fermata Alzheimer: un tour itinerante che ha portato in 11 città italiane eventi, attività e iniziative per conoscere di più su questa patologia che oggi colpisce oltre 600.000 persone in Italia.
Tra queste, in particolare un’esperienza di realtà virtuale che ho provato, e che ha il duplice scopo di creare consapevolezza sulla malattia e, parallelamente, fornire indicazioni pratiche su come aiutare il malato. Non c’è infatti aiuto possibile senza una conoscenza approfondita del problema.
Conclusioni
Se è vero che le tecnologie immersive intervengono ad offrire “nuove abilità” sempre più integrate con i nostri gesti e le nostre azioni, appare logico immaginare un rapporto sempre più stretto e proficuo tra queste e gli operatori che lavorano nel supporto alle disabilità.
Al momento vediamo già un’ampia gamma di casi di studio e il prossimo step evolutivo prevede una conferma convinta dalla comunità scientifica circa una valutazione effettiva dei risultati che questo tipo di integrazione può portare in molte tipologie di terapia.
L’incontro tra medicina (in senso lato) ed extended reality si fa sempre più stretto, e l’attenzione su ciò che ne potrà uscire sempre più alta.
Foto: Stella Jacob