
Se per distribuire contenuti in realtà aumentata bastasse un browser, cosa succederebbe?
WebAR non è che un’etichetta per indicare un tipo di realtà aumentata fruibile attraverso il web anziché attraverso un’app dedicata.
Sembra un semplice passaggio tecnologico, una cosa da addetti ai lavori, ma potrebbe avere un impatto notevole.
Vediamo perché.
Oggi per utilizzare la realtà aumentata dobbiamo passare da un’app.
Ebbene, non è facile ottenere un download. Non lo è affatto. Tanto più se parliamo di usi rapidi e sporadici, ad esempio l’app di un ristorante, di un’attività commerciale o un’app temporanea (magari utile solo a Natale o per i saldi). Cose che non ci cambieranno la vita, insomma.
Gli utenti sono abbastanza pigri, i telefoni sono già pieni di app inutilizzate e il 90% di ciò che si trova negli store è pressoché inutile.
Quindi la fiducia per entrare nel telefono di una persona va guadagnata, e la promessa dei vantaggi che porterà la nostra app deve essere chiara e immediata.
Utilizzando direttamente un browser o un sito web verrà superato l’attrito che si genera chiedendo agli utenti di scaricare ogni volta un’app diversa.
Quello che otterremo non sarà tanto un vantaggio tecnologico. Non avremo una realtà aumentata migliore.
Avremo:
a) una realtà aumentata più distribuita
b) l’imporsi di esperienze utente radicalmente diverse.
Riguardo al primo punto, essendo di più facile accesso, ci aspettiamo che la realtà aumentata venga usata da più persone. Molto semplice.
Il secondo punto è una conseguenza del primo.
La realtà aumentata oggi appare ancora poco comprensibile alle masse, così come lo è stato il web delle origini o i primi smartphone. Non se ne capisce la reale utilità, e in parte è così: ancora non ne è stato sviluppato il potenziale.
Con il passaggio da tecnologia di frontiera a strumento quotidiano avremmo però un nuovo modo di cercare informazioni, più naturale, non più dallo spazio ambiguo di un campo di ricerca con i suoi codici semantici, ma direttamente inquadrando il mondo intorno a noi.
Torneremmo a osservare.
Il gesto di inquadrare un oggetto potrebbe diventare la nuova query per dire “cosa sei? cosa mi puoi dire di più?”. Un gesto più armonico rispetto alla nostra anatomia.
È forse per questo ritrovato comfort, oltre che per il senso di novità, che l’engagement dei contenuti sta dimostrando di essere notevolmente superiore quando questi si trovano sparpagliati in una piazza piuttosto che elencati in uno spot; infatti, stando a quanto dichiarato dalla software house Blippar su Chief Marketer, il tempo di visualizzazione di una campagna in AR è in media di due volte e mezzo superiore rispetto a radio e TV.
Con il semplice passaggio di testimone da mobile a web potremmo quindi assistere a un cambiamento radicale, dovuto non ad un particolare upgrade tecnologico, ma alla maggiore diffusione e facilità di accesso di una tecnologia.