
E se gli artisti del futuro fossero dei creatori di mondi virtuali?
Nella miriade di possibilità applicative offerte delle tecnologie immersive, ce n’è una che da subito ha saputo intercettare e fare proprio l’orizzonte espressivo di realtà aumentata, realtà virtuale e mixed reality: l’arte. Per la sua vastità di forme e interpretazioni, l’arte è da sempre luogo di ricerca e sperimentazione, in quella terra di confine tra anima e forma.
Ma l’arte è anche uno dei mercati più complessi e controversi. A tal proposito c’è un tema fondamentale, ossia quello della sua riproducibilità e conservazione. Molto banalmente, se acquisto un dipinto o una scultura, acquisto la sua presenza tangibile nel mio spazio pubblico o privato. Acquisto un oggetto che posso mettere dove voglio, contemplare ed esibire. Vale anche per un libro o per un film, ma l’elevato numero di riproduzioni ne diminuisce il valore economico.
Senza il possesso siamo nell’ambito dell’esperienza. Vado a un museo, al cinema, a teatro e pago un biglietto per assistere all’opera d’arte, per contemplarla, per vederla rappresentata, giusto il tempo della mia permanenza nel luogo del suo divenire. Mi abbevero di tutti i significati e sensazioni che l’opera è in grado di comunicare e la cosa finisce lì. Questi sono i due modelli di fruizione predominanti, e volendo, anche i due modelli di business dell’arte.
Quando parliamo di arte multimediale spesso l’unico modello possibile sembra essere quello espositivo. Questo perché gli apparati che servono alla riproducibilità di un’opera di questo tipo possono essere molto ingombranti, complicati da gestire o esteticamente poco significativi (almeno per il pensiero dominante); ma può anche essere che l’opera abbia un senso solo nel momento e nel luogo della sua riproduzione, o semplicemente perché all’artista è sufficiente esporre e non ha interesse a produrre. Ovviamente con tutte le eccezioni del caso.
C’è poi l’enorme mercato degli illustratori digitali che realizzano grafiche e le vendono in grandi tirature e in diversi formati (stampe, tazze, magliette, etc.). Non è però un mercato che potremmo propriamente definire “dell’arte”, e per il quale sarebbe più appropriato parlare di artigianato. Una differenza che ci proietta all’interno della annosa discussione su cosa sia arte e cosa no. A me piace tagliare un po’ con il coltello la questione ipotizzando che “è arte tutto ciò che trasmette un senso e un messaggio profondo al di là della propria forma”. E quindi sì, c’è bisogno di una élite culturale che, anche a costo di sbagliare, in qualche modo decida se questo “senso” effettivamente scaturisce oppure no.
Culturalmente un’installazione di video arte o arte virtuale non ha ancora lo status di un dipinto o di una scultura e c’è probabilmente meno attrattiva per collezionisti privati e gallerie. Ma le cose potrebbero cambiare. L’ondata digitale si infrange su tutti gli aspetti della società, nessuno escluso.
In particolare per l’arte in realtà virtuale potremmo assistere a un cambio di paradigma, che porti il collezionista a comportarsi con le proprie opere così come con i propri file di testo o fotografie: semplicemente archiviandole.
Se poi si scelga di farlo attraverso app e portali dedicati, caveau in cloud o direttamente in una chiavetta usb è da vedere. Resta il fatto che un’opera digitale può assurgere allo status di un’opera figurativa o plastica là dove il concetto di dematerializzazione di un bene artistico venga completamente accolto e accettato: “si, ho comprato un file o l’ho pagato un sacco di soldi”.
Sta già accadendo. Il trend è quello di vendere un numero limitato di copie in forma di software, corredate dell’hardware per riprodurre l’opera, nella fattispecie un paio di visori VR. Un pacchetto che, messo nel salotto accanto alla Playstation, può essere confuso con un set up di gaming o intrattenimento, ma che rappresenta invece un nuovo e affascinate formato, quello del museo a casa tua. Lo spazio dell’arte virtuale è infatti potenzialmente illimitato. Posso concepire un’opera che duri una vita, o un secondo; che si sviluppi attraverso le galassie, o nella tana di un topolino. L’opera è l’esperienza stessa, e il suo possederla è la chiave di accesso perpetua al mondo che vi è rappresentato.
Si capisce come questo sia l’inizio di una rivoluzione, che attraverso la realtà virtuale (ma anche quella aumentata), può arrivare a generare un ibrido tra sogno e creazione. Un artista può decidere di farci entrare direttamente nella sua mente, nel modo in cui percepisce il mondo. Un altro può farci vivere un’esperienza allucinatoria, un altro ancora una passeggiata nella storia o nel futuro.
Non ci sono limiti, se non quello della riproducibilità tecnica di un pensiero.
Artisti concettuali abituati a confrontarsi con tecniche “semplici”, quando non completamente assenti, dovranno assoldare programmatori 3D, videomaker, o imparare loro stessi a modellare questi formati, per dare corpo alla propria espressività. Mentre l’attuale generazione di 3D e graphic designer, formatisi nelle scuole di gaming o di disegno tecnico, dovranno sviluppare una sensibilità e una qualità di pensiero per i quali da “esecutori” possano essere definiti “artisti”.
In un articolo del Sole24 Ore dello scorso 5 luglio, si parla addirittura della “conquista del mercato dell’arte” ad opera della realtà virtuale. Si fanno nomi, casi di studio e si da anche qualche cifra. Ad esempio l’opera Re-animated di Jakob Kudsk Steensen costa 38.000 euro, è in edizione di 4 copie e ti arriva a casa in un bundle composto da video installazione completa, opera in realtà virtuale ed equipaggiamento per mostrarla e archiviarla.
Il prossimo passo è quindi una diffusione capillare di questo tipo di arte multimediale, per far conoscere alle persone le potenzialità espressive della realtà virtuale. Anche in Italia, piccoli spazi espositivi di provincia e grandi gallerie dovrebbero introdurre opere virtuali, e lo stanno facendo, mentre le accademie e i corsi di specializzazione dedicano una attenzione crescente a percorsi ibridi per gli artisti digitali di domani.
Come affermato dal regista e imprenditore virtuale Chris Milk in un celebre Ted Talk sull’argomento, siamo solo agli esordi di un formato tutto da sviluppare. Assistiamo oggi ai primi esperimenti in realtà virtuale, così come più di un secolo fa entravamo nei cinema a vedere i film dei Fratelli Lumiere. Quel treno che sembrava venirci addosso oggi non impressiona più nessuno, ma provate a indossare un visore e ritroverete il senso dello stupore e della ricerca che è alla base di ogni rivoluzione artistica.
Photo by Lucrezia Carnelos